Per capire la musica tradizionale italiana bisogna riuscire a illuminare quello che non immaginiamo di essere. Il nostro medioevo, la durezza di vita dei nostri nonni, suoni e odori scomparsi, la lentezza e la forza dilatata e incredibile dell’appartenenza. Bisogna leggere il passato come una resistenza all’ingiusto necessario d’una modernità dilagante, dobbiamo riappropriarci di suoni di strumenti, dialetti, vestiti e colori, dell’odore acre della terra, di un mare che fa paura, di una natura che non puoi imbrigliare e prevedere. Il primo incontro serve per capire il dove e quando e qualcosa del come. Il secondo racconta gli strumenti come estensione di voci oggi scomparse e il terzo mette al centro la potenza della voce, quella che da forza nel lavoro, che canta l’amore e ci dice, senza paura, chi siamo.
Gran parte della nostra storia culturale nasce, spesso a nostra insaputa, dall’azione degli ultimi, dei diversi, delle “pecore nere”, degli emarginati.» il prodotto – a volte distorto, ma autentico – delle contraddizioni che animano le nostre società. Così è stato per il Blues, nato dall’immane ingiustizia della schiavitù, e per il Rock, che si Ë trasformato in un grido quasi inarrestabile di protesta generazionale. Il trentennio che va dagli anni ’50 agli anni ’80 del Novecento ha fatto da palcoscenico a rivoluzioni fondamentali e nobili, movimenti di idee che non cercavano il potere, ma il cambiamento come veicolo genuino di giustizia e libertà.La lotta per i diritti civili degli afroamericani e il Sessantotto hanno contribuito a far evolvere le società, mentre le musiche nate da questi movimenti sono diventate simboli di bellezza e libertà Così È stato anche per il Folk Revival Italiano, il cui grido ha denunciato la distruzione delle campagne e l’avvento di periferie invivibili. Il percorso di queste conferenze intreccerà musiche coinvolgenti e racconti appassionati, offrendoci lo specchio in cui riconoscere il nostro presente.